giovedì 28 gennaio 2010

parole parole parole

Dopo quasi venti giorni qui, mi è venuta voglia di fare un elenco delle cose che ho imparato.
  • i giapponesi quando camminano trascinano i piedi sul pavimento
  • stapler _ pinzatrice
  • bend _ curvare, piegare
  • i pakistani parlano tutti nella stessa maniera: appena finita una frase, chiudono la bocca in una linea diritta e fina come per annuire con le labbra
  • i cinesi non amano fare vita sociale
  • blend _ mescolare
  • threshold _ soglia
  • i norvegesi si sposano, o perlomeno vanno a convivere, presto
  • e dopo fanno subito un bambino
  • quando per me è l'ora del the, nel resto del mondo è ora di cena
  • albedo _ potere riflettente di una superficie, derivante dal latino album, cioè bianco (da qui, anche il nome del professor Albus Dumbledore)
  • ost _ ciò che io devo evitare quando vado al supermercato, vuol dire formaggio in norvegese
  • il primo libro di Zadie Smith è piaciuto molto alla cameriera del Cafè Oslo alla Litteraturhus
  • nell'alfabeto norvegese non esiste la dieresi (checchè ne dica il mio compare Cavazzana)
  • prima di comperare qualsiasi cosa, vai all'Ikea: lì ci sarà senz'altro a un prezzo minore e, a volte, di miglior aspetto
  • i luoghi comuni sono diventati tali perchè effettivamente riflettono la realtà: la prima sera che ho conosciuto Leonor, la mia ex coinquilina di Parigi, stava fumando delle Gauloises bevendo vino rosso con una sua amica in cucina, confermando lo stereotipo che generalmente ci si fa nella mente dei francesi (diciamo che le mancava solo la baguette, una maglietta alla marinara e Serge Gainsbourg in sottofondo)
  • there's no bad weather. only bad clothes.

mercoledì 27 gennaio 2010

no time wasted

Oggi, dopo aver seguito una breve lezione su come utilizzare le macchine e gli strumenti a disposizione nei vari laboratori della scuola, ho deciso di andare a fumare una sigaretta ad Aker Brygge, quartiere di formazione recente, accanto al porto della città.

Sono giorni irrequieti. Non ho grossi impegni all'università, non vedo nessuno tutto il giorno e ho pochissimi soldi nel portafoglio. Ho le sigarette contate. Non posso andare al cinema. Non riesco a concentrarmi per studiare diritto ed economia, i due esami che mi aspettano durante le vacanze di Pasqua. Non so bene a cosa penso tutto il giorno. So solo che camminare per le strade mi fa stare bene.

Quindi, cammino.

Lunedì prima di andare all'Ikea a comperare le ultime cose che mi servivano, ho girovagato per il quartiere vicino al cimitero dove sono sepolti Ibsen e Munch, i due norvegesi più famosi al mondo, prima dell'avvento dei Kings of Convenience ovviamente. Ho scovato un negozio di libri e dischi usati di cui non ricordo il nome in cui è possibile comprare con poche corone un vinile originale di Banana dei Velvet Underground.

Questo è quello che amo di questa città.

Che quando ti senti solo, o semplicemente scazzato come me in questi giorni, basta uscire a fare una camminata e la luce orizzontale che c'è qui e che illumina tutte le cose allo stesso modo, sembra illuminare anche te. E in un attimo ti accorgi che attorno c'è uno scorcio che non avevi ancora visto, una scritta su un muro colorato che non avevi ancora notato, un negozio in cui non eri ancora entrato.

E ti accorgi che anche tu fai parte di tutto questo. E che la vita della città è pronta ad accoglierti.

E che forse la vita in generale è lì anche per te. Che ti aspetta.

Basta vederla.

domenica 24 gennaio 2010

è qui la festa?

Party time: ieri sera sono andata con Chris alla festa di inizio semestre primaverile dell'Università di Oslo al campus di Blindern.
Questa settimana nel corso di Progettazione B3 abbiamo cambiato i compagni di gruppo e io ho lavorato con Nikolai e Chris, appunto. Il primo è un ragazzo su cui ci sarebbe molto da raccontare e si può partire dicendo che sulla sua scrivania a scuola ha una foto di lui con la sua ragazza vestiti nella stessa maniera (T-shirt bianca + pantaloni da donna verde acido, e sorvoliamo sui commenti che si potrebbero fare). Chris è di Francoforte e fisicamente sembra Quirin, ma nonostante questo è una brava persona. Abita nell'edificio di fronte al mio, quindi dopo cena ci siamo trovati nel suo appartamento a sbevacchiare un pò di vino fresco di aeroporto per poi trovarci cogli altri Erasmus alla festa.
Ma (a questo punto c'è sempre un Ma) gli altri erano in ritardo e noi due siamo entrati alla prima festa che abbiamo trovato arrivati a Blindern, non sapendo che ieri c'erano tre feste diverse in tutto il campus. E noi, ovviamente, abbiamo iniziato la serata con quella sbagliata. A quanto pare, i norvegesi hanno una passione sfrenata per i Quiz e sono soliti organizzare serate in cui si ritrovano nel pub della facoltà a giocare divisi a quadre a quiz a tema, appunto. Perciò io e il sosia del mio ex coinquilino ci siamo ritrovati in mezzo a una massa di cavalloni biondi con morose della stessa specie che urlavano come degli italiani allo stadio (giusto per rendere l'idea) ogni volta che lo speaker-presentatore della serata annunciava qual'era la risposta esatta alla domanda fatta.
Appena finita la birra ormai ordinata, siamo scappati alla festa Giusta, dove ci aspettavano Carina di Monaco, Claire di Limerick, Florian di Weimar e Rika di Helsinki, tutti nostri compagni di corso B3. E lì abbiamo bevuto altra costosissima birra e ballato canzoni a dir poco trash fino alle due e mezzo, quando siamo tornati a casa camminando stanchi e ubriachi attraversando i parchi della città con i piedi congelati (il freddo qua si sente anche da ubriachi).
Considerazione finale: le norvegesi, che durante la settimana riescono ad accostare almeno quattro colori diversi mantenendo intatta la loro naturale eleganza, nei momenti di festa si trasformano in tipiche italiane: in nero dalla testa ai piedi. E ne va del loro fascino.

venerdì 22 gennaio 2010

walking in my shoes

I like your shoes.

Ma si può iniziare un discorso così? Si può pretendere dall'interlocutore una risposta diversa dal Grazie?
Eppure prima di dirglielo ci ho pensato una buona mezzora. Volevo fargli un complimento e speravo che, partendo da quello, si sarebbe potuta iniziare una conversazione su tutto quello che si potrebbe avere in comune, oltre a un gusto indiscusso per le scarpe, chessò... cinema, musica e blablabla.
E invece: niente. Solo Grazie.

Sono veramente un'incapace dell'arte del primo passo. Sono convinta che Ogni Mossa Può Cambiare La Partita Intera (ovviamente Jovanotti) e quindi ogni mossa che faccio è pensata e calcolata. Mi ripasso le frasi nella mente prima di pronunciarle, e mi ritrovo molto più riflessiva e meno impulsiva di com'ero a casa.
Come se fossi tornata indietro nel tempo e fossi tornata la bambina che ero alle elementari. Silenziosa, in disparte e contenta nel suo bozzolo caldo di libri e cioccolata e film e matite.

Uff. Certo che, anche io, potevo trovare un argomento più interessante di discussione! O almeno iniziare con un Argomento e non con una semplice Osservazione. Che fatica vivere.



giovedì 21 gennaio 2010

La solitudine dei numeri primi

Sono nata il 1 ottobre. 01.10.
Data simmetrica, che quest'anno sembrerà un'alquanto strana combinazione binaria 01.10.10, o così almeno mi ha detto lunedì mattina uno dei segretari che lavora all'ufficio del SiO senteret di Blindern.
Sono sempre stata attratta dalla simmetria nascosta dietro ai numeri della mia vita e sono convinta che il numero 1 influisca non poco sulle cose che mi accadono. Innanzitutto, una delle mie più care amiche è nata il 1 gennaio, un altro il 1 giugno e uno dei ragazzi della mia peggio gioventù il 1 luglio.
La prima volta che sono uscita la sera da sola era il 10 luglio (o forse il 1) e mia mamma mi disse che tutti gli avvenimenti importanti della mia vita sarebbero stati segnati da questo numero.
Il numero 1 è il numero primo per eccellenza. Se ne sta solo, lassù in alto a guardare tutti i numeri che stanno sotto di lui e che lui tutti compone.

"I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell'infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari." O almeno, questo è quello che scrive Paolo Giordano.

In aula, guardo tutti da lontano. Studio la situazione e cerco di capire chi può essere sulla mia stessa lunghezza d'onda.

"Tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perché fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l'11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. Ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli. Poi, proprio quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altri due gemelli, avvinghiati stretti l'uno all'altro. Tra i matematici è convinzione comune che per quanto si possa andare avanti, ve ne saranno sempre altri due, anche se nessuno può dire dove, finché non li si scopre."

E, speriamo.

mercoledì 20 gennaio 2010

Norwegian Wood

Tutti i martedì dei prossimi due mesi saranno impegnati dal corso che ho iniziato a seguire oggi all'una: Norsk Arkitektur, historie materialitet teknisk tradlsjon. In sintesi, studieremo qual è il tradizionale metodo costruttivo norvegese.
Il professore, che fisicamente somiglia incredibilmente a Fabrizio Gay, ci ha consegnato il programma soltanto in norvegese, senza tenere conto che metà degli studenti che segue il corso fa parte del programma Erasmus. L'obiettivo del corso è costruire nella hall della scuola un padiglione in legno seguendo i dettami della tradizione costruttiva scandinava. E dopo la faticosa costruzione di quello che lui ha chiamato puzzle, dovremo smontarlo e riassemblarlo in una piazza qui vicino, sperando abbia vità più fortunata del Norwegian Wood di Lennon.
E, vista l'ora, "then she said it's time for bed".

martedì 19 gennaio 2010

E di nuovo cambio casa

Gennaio, è tempo d'iniziare.
Sono arrivata a Oslo da dieci giorni e oggi mi trasferisco in un nuovo studentato. E' strano dopo così poco tempo ritrovarmi a dover reimpacchettare tutte le mie cose e trasportarle da un quartiere all'altro della città dovendo cambiare due metro e due autobus per arrivare alla destinazione finale: Bjolsen.
Il panorama dalla finestra non sarà bello come quello dalla mia stanza di Kringsja, ma almeno sarò più comoda all'Università e spero di avere più possibilità di uscire la sera.
Ma la cosa più importante è che la cucina nella nuova casa sembra un luogo abitato da esseri umani e non da fantasmi che si preparano la cena e poi corrono in camera loro a fare chissàcche. Fino ad oggi, nonostante la mia passione per il cucinare, non ho ancora acceso un fornello. E' da una settimana che la mia cena è rappresentata da una fetta di pane integrale spalmata abbondantemente di marmellata di mirtilli rossi (tyttebær, da qui il nome del blog). Anche perchè non sono ancora andata all'Ikea a comperarmi delle pentole e dei piatti. E, volendo essere totalmente sincera, in questi giorni ho sempre usato piatti e coltelli di plastica per non dover andare in cucina a lavare niente.