mercoledì 28 luglio 2010

in my end is my beginning

Quando avrò tolto anche l'ultima fotografia attaccata alla parete della camera, questo posto non esisterà più.

giovedì 24 giugno 2010

Tutta la vita davanti

Considerazioni a caldo dopo aver visto Tutta la vita davanti, regia di Paolo Virzì, 2008:
  • a qualche minuto dalla fine sono scoppiata a piangere per la frustrazione e la rabbia accumulata nelle due ore precedenti, precedendo di pochi secondi Isabella Ragonese che si scioglie in un pianto liberatore per le stesse ragioni tra le braccia di una sconosciuta anziana, la quale la consola con pasta e ceci, pollo arrosto ricoperto di tanto rosmarino e patate al forno;
  • il pensiero di tornare in patria e di dover lì cercare lavoro mi crea nello stomaco un misto di paura|apprensione|agitazione|ansia;
  • come volevasi dimostare, sono le donne a tessere le fila di ogni storia e sono le uniche a rimanere in piedi alla fine;
  • gli uomini sono tutti uguali, a prescindere dalla classe sociale di appartenenza (e Virzì, in quanto appartenente alla categoria lo sa bene).
Un ultimo pensiero all'attrice Paola Tiziana Cruciani, prima ed ex moglie del regista. Nel film recita il ruolo della madre di Sonia, interpretata da Micaela Ramazzotti, attuale moglie di Virzì, incontrata durante le riprese.
Insomma, io a Virzì gli voglio bene e tutto quanto, e proprio per questo mi dispiace che sia ricaduto pure lui nello stereotipo del cinquantenne che si mette con una che potrebbe essere la figlia (di sua moglie!)...

martedì 22 giugno 2010

the end


Caro parte domani mattina.
Due ore fa abbiamo chiuso insieme la porta della sua stanza vuota di tutte le sue cose. Senza lacrime o tante parole, e solo con la certezza che ci vedremo ancora.

Ci siamo ritrovati a chiacchierare di come sia triste dirsi goodbye al limite della sera e di questi mesi da Erasmus io, Riikka, Florian e Yuichi sulla terrazza del terzo piano di Pilestredeet, in cui Caro ha vissuto da agosto a oggi. Noi, i quattro superstiti, con gli occhi tristi e il cuore un pò più pesante.
E l'unica cosa a cui riesco a pensare ora è che ho voglia di guardare Il favoloso mondo di Amelie, mangiando i lasciti culinari della mia poulette (:

lunedì 21 giugno 2010

Friendly fires

Dopo serate di barbeque, in cui ci si ciba solo di sandwich ripieni di pølse, cipolla disitratata e tanta tanta senape, patatine sørland alla creme fraiche e quadretti di cioccolata, finalmente stasera Emilie ci ha cucinato una cena tipica norvegese sana a base di salmone e verdure fresche.
E in onore mio e di Caro, ha preparato per dolce le tradizionalissime kanelbolle :)

Domani sarà l'ultima serata di Caro a Oslo. Tutto da martedì cambierà e si farà più palpabile l'arrivo della conclusione di questi mesi da Erasmus.
Sarà davvero la fine di un'era, come si dicono Monica e Rachel quando quest'ultima lascia il loro appartamento per trasferirsi a casa di Joey e lasciare il suo posto a Chandler.

martedì 8 giugno 2010

notte dopo gli esami

Ho fatto l'esame dopo pranzo senza rendermene tanto conto dopo due notti di campeggio e l'ultima passata nel treno Stavanger-Oslo. Domani sera ci sarà la festa a casa di Per Olaf e dopodichè il semestre oslese potrà dichiararsi concluso. E' strano pensare che le persone con cui ho condiviso tutti i giorni di questi ultimi cinque mesi forse da dopodomani non le rivedrò più.
Chissà cosa pensano gli altri, i norvegesi intendo.

Fine fine... sento aria di fine. Anche perchè, e qui arriva la nota stupidina a piè di giornata, o di semestre, (che poi... chissà perchè i piedi si considerano come parte finale dei nostri corpi quando in realtà è da lì che tutto parte?) ho appena finito di vedere l'ultima puntata di Tutti pazzi per amore 2 e all'arrivo dei titoli di coda, con i saluti ai macchinisti, fonici, sceneggiatori e parrucchieri vari scritti su cartoni colorati, mi è scesa giù dritta alla stomaco una malinconia...

E adesso che si fa?

venerdì 4 giugno 2010

Northern Lights

Lavoro al computer nella notte da poco cominciata e tra due ore già pronta a trovare fine nella luce del nord. I suoi confini così netti e duri durante l'inverno, si fanno più fragili e incerti man mano che passano i giorni. Man mano che passano le ore.
Si avverte nell'aria la resa che si fa sempre più totale del manto buio della volta del cielo.
E dobbiamo arrenderci anche noi a questa luce che non vuole cedere il passo alla notte e al riposo.
E' una natura forte e rigida che chiama. All'inizio della primavera era invitante, piena di promesse, ma ora pensando al lungo buio inverno l'unica sensazione che provo è nostalgia e l'unica parola a cui penso è sollievo.

Devo finire le tavole entro le 17 di domani.
Questi giorni dormo poco e male, come sempre in questi periodi.

Ma il buio, il tè alla lavanda col latte e i Bowerbirds sono la combinazione ideale contro la stanchezza (:

domenica 30 maggio 2010

Got my mind set on you*

Promemoria di cose da fare dopo il 18 giugno:
  • preparare un portfolio graficamente accettabile da presentare agli studi a cui chiederò un lavoretto
  • riscrivere il mio curriculum
  • andare all'Opera
  • andare a correre
  • scrivere un articolo su Fehn
  • studiare diritto ed economia
  • finire Cime Tempestose
  • andare a Copenhagen e Bergen
  • trovare tema per la tesi

sabato 29 maggio 2010

Caramelle non ne voglio più


Ieri sera siamo usciti da scuola insieme. Chiedendoci a vicenda cosa avremmo fatto nel dopocena, mi ha lasciato il suo numero, dicendo che potevo scrivergli per incontrarci con Caroline e Emilie, che sarebbero venute a mangiare un risotto da me per festeggiare il compleanno di Caro.
Aha, too good to be true.
Infatti, dopo una bella cenetta in cui i nostri stomaci e fegati hanno avuto il loro bel daffare a dilatarsi per far posto ad (altro) cibo e vino, gli ho scritto per chiedergli dov'era.
E non ho ricevuto risposta.

estate

Estate:
  • i tuoni improvvisi di brevi temporali
  • le canzoni di Ligabue
  • portare giù l'immondizia dopo cena col sole che sta tramontando
  • il primo giorno in cui ci si mettono i pantaloni corti
  • la prima volta che si esce di casa senza calze
  • il segno dell'anello che non ci si toglie mai sul dito un pò abbronzato
  • non riuscire a finire un libro
  • finire un libro in un pomeriggio
  • guardare un film stesa (spalmata!) sul mio divano, colla luce del sole che filtra dalle tapparelle
  • le colazioni lunghe
  • i ventagli al legno di sandalo della mia nonna seduta in giardino con le scarpe chiare dalla punta aperta
  • sgranare i piselli (i bisi)

sabato 22 maggio 2010

i will tell you anything...*

Lavoro lavoro lavoro e il tempo passa.
Sono così nervosa che tra due minuti salto alla sua scrivania e glielo dico.

*Can't stand me now, Pete Doherty

giovedì 20 maggio 2010

you belong to me*

Colonna sonora del mio plasticare e ragionare schizzando di oggi.
Beati siti di musica in streaming...

See the market place
In old Algiers
Send me photographs
And souvenirs
Just remember
'Til your dream appears
You belong to me...
Fly the ocean
In a silver plane
See the jungle
When its wet with rains
Just remember
Till you're home again
Or until I come home to you
You belong to me...

*Bob Dylan, Good as I been to you, 1992
Carla Bruni, Comme si de rien n'était, 2008

mercoledì 19 maggio 2010

new slang

Sono in aula a lavorare al progetto. Sto sistemando un plastico vecchio di due mesi ormai a pezzi.
Reincollo i pezzi più o meno dov'erano prima.

Lui è vicino a me che si prepara un panino davanti al computer.
Vorrei passargli una cuffietta e fargli ascoltare la canzone che sto ascoltando.
Condividere gli Shins in silenzio.

Sarebbe un pezzo perfetto per chiudere una puntata di Grey's Anatomy.

venerdì 14 maggio 2010

how should i begin?

Stavo leggendo giusto ora il post del 3 maggio dal blog di Gabriele Romagnoli.
Ad un certo punto dice "Ne hai conosciuti troppi per fidarti ancora".

Per usare parole di T.S. Eliot nella canzone d'amore di J. Alfred Prufrock del 1917:
"For I have known them all already, known them all—
Have known the evenings, mornings, afternoons,
I have measured out my life with coffee spoons;
(...) And I have known the arms already, known them all—
Arms that are braceleted and white and bare
Arms that lie along a table, or wrap about a shawl.
(...) And how should I begin?"

Forse il mio problema è esattamente l'opposto: ne ho conosciuti troppo pochi per fidarmi ancora.

giovedì 13 maggio 2010

Bisogna pur passare il tempo



Sabato sera sono andata alla festa di compleanno di Florian, senza aspettative o speranze. Sapevo che il mio obiettivo mezzosangue era stato invitato a un'altra festa, di un suo amico più caro, quindi non avevo modo di credere che a un certo punto imprecisato nella breve notte oslese sarebbe arrivato.
E invece... verso l'una lui e gli altri party norwegians della mia classe sono comparsi, con le giacche aperte e le birre in mano, pronti a continuare la loro serata di festa.
Mi sono seduta vicino a lui e come al solito abbiamo parlato un pò, condiviso qualche sigaretta ma nulla di più.
Quando mi stavo mettendo la sciarpa per andare a casa, mi ha chiesto se stavo andando via. Gli ho risposto che potevamo fare la strada insieme. Peccato che in quel momento tutti abbiano avuto la nostra stessa geniale idea di abbandonare l'appartamento di Florian.

Come al solito, nulla di combinato.
Non gli ho detto nulla, proposto nulla per il giorno dopo: giorno di mal di testa e nervosismo e accanimento verso me stessa e la mia timidezza e rabbia verso tutte le persone che hanno osato interrompere ogni discorso tra me e lui.

La serata comunque è stata bella. Mentre ballavamo verso le 4 ha iniziato a spuntare dalla finestra la luce del sole (foto:) e durante la lunga camminata in salita verso casa alle sei avevo l'impressione che fosse mattina inoltrata.

Lunedì a scuola mi ha chiesto come era andata la dormita post festa. Abbiamo lavorato fianco a fianco, o meglio scrivania a scrivania, fino a sera tarda. E così ieri e martedì.
E abbiamo sdoganato l'uso della chat di fb: lunedì stavo rispondendo a una mail di Francesca e dalla sua postazione lui può vedere cosa sto combinando (cosa che, ahimè, a me non è data) e mi ha scritto in chat GO BACK TO WORK. Ieri, mentre ero ancora a casa, gli ho scritto io chiedendogli se era a scuola.
Ha risposto subito e poi mi ha mandato un altro messaggio di risposta dopo qualche ora.
Peccato che la sera a scuola dopocena quando gli ho offerto una sigaretta, lui l'abbia rifiutata.

Bene, mi metto a lavorare. Bisogna pur passare il tempo in attesa della prossima occasione (mancata).

*La canzone dei vecchi amanti, Franco Battiato, Fleurs 1999

mercoledì 12 maggio 2010

two more years

Sono passati due anni. Ieri ho festeggiato la mia singletudine che dura da 365 giorni x 2.
In totale fa più o meno 17520 ore.
Ore passate a piangere e dimagrire e guardare film nei primi tempi (è verità universalmente riconosciuta che lasciare fa male quanto essere lasciati), a fumare e sbevacchiare e andare al mare e leggere una valanga di libri nei mesi estivi successivi, a compiere gli anni a Parigi, a ricominciare l'università e ingrassare con l'arrivo dell'autunno e a festeggiare due Natali senza il pensiero di fare regali. Ore dedicate a conoscere i morosi nuovi delle mie amiche e a consolare chi invece veniva lasciato o lasciava. E ore a farmi ascoltare dai suddetti compagni e compagne nelle mie idee considerazioni e lamentazioni sul mondo e sulla gente.
Giorni di ricostruzione e demolizione.
E speriamo non ne passino altri due (;

sabato 8 maggio 2010

giovedì 29 aprile 2010

pride (in the name of love)

Seduta nel café dell'aeroporto di Rygge, ore 05.49 del mattino.
Per far passare il tempo, ho digitato il nome della mia città d'adozione sul blog di Beppe Severgnini, sul sito del Corriere della Sera, per vedere se c'era qualche lettera riguardante la vita degli italians tramutatisi in norsk. Uno dei motivi per cui ho scelto di venire qui è stato proprio un articolo su Oslo contenuto nel libro di Severgnini, in cui introduceva il concetto a me carissimo di Third Place.
E stamattina ho avuto un moto d'orgoglio quando ho letto qui che tra le città in cui si trasferirebbe volentieri ha inserito anche la capitale norvegese.
Ha dat bra!

mercoledì 28 aprile 2010

This modern love wastes me

Domani si ritorna nel Veneto-che-lavora per due giorni, una piccola immersione nei 25° che il sole regala alla mia patria. Viaggio necessario per riportare il mio computer aggiustato al nord. I voli Ryan air accorciano le distanze e sembrano rendere tutto possibile, e tutto vicino.
Noi siamo la generazione dei voli low cost, dell'Europa attraversata da un giorno all'altro senza pensiero e consapevolezza delle distanze, con lo zaino da campeggio dei nostri genitori sulle spalle.
E nonostante saranno solo 48 ore lontane da Oslo, so già che mi mancherà.



martedì 27 aprile 2010

Primavera

Al mio ritorno dall'allungata permanenza in Giappone, ho trovato ad aspettarmi una città diversa.
Oslo è sbocciata. La gente, come mi era stato preannunciato da tutti i norvegesi con cui sono entrata in argomento, sembra davvero essere uscita dal suo guscio.
Le giornate sono lunghe come quelle italiane d'estate e il sole è una presenza certa da mattina a sera. I parchi sono popolati di coppie che bevono una birra sedute su teli tirati fuori dagli armadi dopo il lungo inverno. Si vedono adolescenti in felpa e jeans larghissimi e bassissimi con skateboards sotto braccio camminare per le strade con le cuffie alle orecchie.
E occhiali da sole, magliette bianche a righe nere, converse e vans nuove e distrutte, braccia bianche e guance rosse, cani da appartamento al guinzaglio.

domenica 25 aprile 2010

capelli

L'altra sera per festeggiare il mio ritorno in patria adottiva nordica ho chiamato Riikka e le he chiesto di tagliarmi i capelli. Quindi dopo una cena a base di noodles, abbiamo trasformato camera mia in un salone da parrucchiera buttando sul pavimento fogli di quotidiani giapponesi attorno alla sedia su cui mi sono seduta con i capelli bagnati e un asciugamano sulle spalle.
L'operazione ha richiesto più di un'ora in cui, ascoltando musica rigorosamente finlandese, il mio cuore si agitava per la paura di ritrovarmi pelata o con un taglio asimmetrico. Alla fine, contro ogni mia aspettative, il risultato mi ha lasciata totalmente soddisfatta ed è stato festeggiato con l'apertura della bottiglia di grappa che avevo comprato all'aeroporto di Treviso quando sono tornata a Oslo dopo le brevissime vacanze di Pasqua.
Dai miei capelli si legge chiaramente ogni necessità di cambiamento. Una ricerca di fiducia nel futuro. Un modo di affermarsi tra gli altri in modo diverso, di dire Ci-sono-anch'io.

e quando perdo il senso e non mi sento niente
io chiedo ai miei capelli di darmi la conferma che esisto
e rappresento qualcosa per gli altri
di unico
vivo
vero
e sincero

Capelli - Niccolò Fabi, 1998

martedì 30 marzo 2010

farewell

martedì 23 marzo 2010

chetempochefa

Visto che il mio pc è momentaneamente in ferie, in questi giorni sto utilizzando il nuovo arrivato di casa: il piccolo Acer laccato bianco di mia mamma. Una goduria portarselo in giro: pesa poco, ci sta nella borsetta e la batteria dura fino a sei ore. Manco un moroso ti dà tante soddisfazioni (;
Ho da poco sistemato gli ordinari problemi della connessione online e, istallando Google Chrome, ho avuto la possibilità di aggiungere una slidebar di servizi vari ed eventuali che il Signor Google ha da offrire. Servizi assolutamente inutili quali la slideshow continua ed imperterrita di tutte le foto contenute nel pc (già eliminata!) e il servizio meteo aggiornato minuto per minuto impostato su Oslo.
Sono sempre stata convinta che il meteo sia qualcosa a cui credere tanto quanto ai maghi o agli oroscopi d'inizio anno (ma non toccatemi quello di Rob Brezsny su Internazionale http://www.internazionale.it/oroscopo/!), e che le persone che seguono le previsioni meteo altro non siano che dei pigroni che non c'hanno voglia di alzare il culo dalla poltrona per andare alla finestra e controllare di persona che tempo che fa.
Quindi, già mi sono sentita alquanto idiota ad avere impostato quella casellina --al momento piena di nuvolette grigie-- nella parte destra del mio desktop, ma il massimo della scemenza l'ho rasentato quando sotto a suddetta casellina rappresentante Oslo, ho fatto posto per un'altra casellina che mi dice che temperatura c'è a Tokyo.
Tanto per sfamare le curiosità: Tokyo 8° -- Oslo 0°.

sabato 20 marzo 2010

A Venezia, che sogna e si bagna sui suoi canali*

Partendo dal presupposto che io AMO Oslo, non ho comunque dimenticato la mia bella isola appoggiata sul mare, per citare il buon vecchio Guccini. E queste sono le cose che di lei più mi mancano:
  • le polpettine di Renato e i paninetti di Lele annaffiati da un bicchiere di rosso
  • camminare di mattina presto fino ai Giardini della Biennale e godersi il primo venticello della giornata
  • il primo bagno della stagione al Lido, nel grigiore del mare che si perde in un cielo ancora più grigio carico di nuvole
  • fare colazione nel giardino del mio vecchio appartamento con i miei coinquilini e la sera ritrovarsi lì a cena dopo una giornata passata -- a porconare -- al computer
  • il gelato al pistacchio mangiato alle Zattere guardando la Giudecca
  • la vista delle Erberie dalla Corte del Remer
  • le chiacchiere con le amiche al Nono Risorto
  • camminare dopo lezione fino a San Marco, per sedermi in mezzo ai giapponesi che fanno mille fotografie su un ponteggio per l'acqua alta, e fumare una sigaretta guardando San Giorgio
  • la brioche ai semi di papavero di Tonolo e le brioches alla crema chantilly di quella pasticceria vicina a Palazzo Badoer con le proprietarie che mi stanno simpatiche
  • andare a correre la sera d'estate fino alla statua del bambino con la rana a Punta della Dogana
  • la gita annuale alla Biennale solo per vedere il padiglione di Fehn
  • e il bacaro tour che ne consegue.

Per ora, questo.

*da Viaggi e Miraggi, Francesco De Gregori.

martedì 16 marzo 2010

no time no space

Tra 5 giorni i norvegesi partono per Tokyo.
Tra 9 giorni arrivano qui a Oslo la Stefi e il compare.
Tra 2 settimane torno a casa per 6 giorni.
Per poi partire per il Giappone e restarci 9 giorni.

Forse mi schiarirà le idee questo breve periodo di pausa.
O mi farà capire che sarebbe stato meglio darsi una mossa prima (che sarebbe adesso).
Ma ora come ora mi sento allo stesso tempo impaurita e scazzata.
Sento che il tempo è poco, non capisco se ne valga la pena.
Fatto sta che ogni cosa che mi accade qui è filtrata da quello che ho detto e non ho detto e quello che ho fatto e che - soprattutto - non ho fatto.
Ieri ho visto un'intervista a Gabriele Salvatores per l'uscita del suo ultimo film Happy Family, e parlava della felicità e di come l'uomo spesse volte abbia così paura di mettersi in gioco da negarsi la possibilità di essere felice.
Per essere felici, bisogna rischiare.
E rischiare implica responsabilità e possibilità di fallimento.

Keep your feelings in memory

domenica 7 marzo 2010

considero valore

Stamattina mi sono alzata relativamente presto visto che è domenica perchè devo preparare dei plastici per domani e, facendo colazione seduta a gambe incrociate sul letto, ho guardato dal sito di CheTempoCheFa un'intervista a Erri De Luca dell'anno scorso.
E mi è tornata in mente un'altra intervista, che in qual caso gli aveva rivolto Daria Bignardi alle Invasioni Barbariche, al termine della quale aveva recitato una delle sue poesie contenute nel libro Opere sull'acqua e altre poesie, che qui vi lascio per iniziare la giornata.


Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura un pasto, un sorriso involontario,la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggivale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacerein tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi,provare gratitudine senza ricordarsi di che.
Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord, qual è il nomedel vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.

Erri De Luca - 2002

sabato 6 marzo 2010

ho perso le parole

e forse è meglio così.

giovedì 4 marzo 2010

mare, mare

Confessione serale (anche se la definizione più adatta in questo caso è sputtanamento serale).
A me le canzoni di Luca Carboni piacciono un sacco. E a dirla tutta, in certe serate, specialmente quelle contraddistinte da un'arietta leggera sintomo del cambio di stagione, danno parecchio da fare ai miei bulbi oculari.
Stasera sono in vena di piagnistei e lamentazioni.
Stasera è una di quelle sere che torni a casa così stanco da una giornata di lavoro che avresti voglia di fare millecinquecento cose, ma non sai scegliere, in realtà non sai se vuoi guardare un film (e comunque se ne vuoi guardare uno, non sai quale si accordi meglio con il tuo stato), se vuoi leggere un libro, se vuoi buttarti sul letto con le cuffie dell'ipod nelle orecchie, se vuoi mangiare, se vuoi uscire a bere una birretta, and so on.
Non sai, semplicemente.
Quindi procrastini nel mare di mille indecisioni come un novello giovane Werther fino a che non ti metti sotto le coperte a dormire, sentendoti pure inconcludente perchè effettivamente hai buttato via una serata.

...la malinconia ha le onde come il mare...

Quasi quasi adesso inizio Il vecchio e il mare.

martedì 2 marzo 2010

these boots are made for walking

Il mio nervosismo oggi rasenta livelli mai visti (e io, com'è noto ai più, ho una specializzazione in attacchi nervosi) per questi motivi:
  • giovedì iniziano le revisioni pubbliche, Per Olaf non si vede da una settimana e io avrei tanto bisogno di un confronto con un'autorità dell'architettura prima di sputtanarmi di fronte alla classe con le solite pippe astratte sulla natura dello spazio e come l'uomo si relaziona all'architettura in base al suo bagaglio mentale e blablabla
  • ho la vaga - vagherrima - sensazione che i miei dialoghi col nordico siano resi possibili solamente da una discreta dose di alcool in giro nei nostri corpi
  • e, visto che non posso andare a scuola ubriaca, tanto più questa settimana con un progetto da tirare fuori dal cilindro magico delle mie capacità mentali, temo che avremo ben poche possibilità di conoscerci meglio
  • l'inverno sembra non finire mai
  • e se la temperatura non si decide a salire sopra lo zero, la neve che nasconde i marciapiedi non scioglierà tanto facilmente, quindi io sarò costretta a indossare ancora a lungo questi stivali di gomma che non si asciugano mai e che fanno un rumorino antipatico a ogni mio passo.

Verso le sette sono uscita e sono andata al porto a fumare una sigaretta. Tornando a casa (erano quasi le nove), sono passata per la scuola per andare a recuperare del cartone che mi serviva, convinta che in aula non ci fosse più nessuno. E invece, entro in aula e mi becco il nordico seduto alla sua scrivania. Mi ha detto che stava ancora lavorando al suo plastico e mi ha fatto leggere dal suo libro di Libeskind una storia su un doge di Venezia che voleva costruire una torre altissima per sentirsi più vicino al cielo, chiedendomi se l'avevo già letta. Poi abbiamo fatto due parole sul museo ebraico, su Four rooms e un corto di Tarantino. Al che mi ha chiesto se stavo andando a casa e io, scema, ho detto di sì. Lui se n'è rimasto lì e io me ne sono andata. Sono tornata a casa facendo quasi tutta la strada a piedi, cercando ristoro e compagnia nell'aria, nei miei passi veloci sulla neve, nelle sigarette che intanto ho fumato. Quando mi viene voglia di camminare per strade che di solito evito, mentre fumo una sigaretta dietro l'altra e allungo la strada perchè non voglio chiudermi nelle quattro mura di casa e l'unica cosa che voglio sembra essere camminare, beh, vuol dire una cosa sola. E' sintomo di una cosa sola. Cazzo.

lunedì 1 marzo 2010

C'era un volta la città dei matti

Lo scorso fine settimana ho guardato dal sito di mamma Rai lo sceneggiato (non mi piace la parola fiction, non la userò mai, e dico ma-i, neanche sotto tortura a meno che non sia preceduta dalla parola pulp) sulla vita di Franco Basaglia e sua moglie Franca Ongaro.


A prescindere dal fatto che mi è piaciuto tanto - in sintesi, ho pianto parecchio, e come dice mia mamma, io misuro il gradimento di un film in base alle lacrime che verso - mi ha indotta a varie riflessioni, ma su una in particolare vorrei più avanti soffermarmi.

I pazienti rinchiusi nei manicomi negli anni Sessanta (e stiamo parlando soltanto di 50 anni fa) erano trattati alla stregua di bestie, con i capelli rasati come deportati a mostrare la magrezza dei loro crani, buttati contro un muro per essere lavati con i vestiti addosso, in alcuni casi legati al letto per anni senza avere nemmeno la possibilità di avere le mani slegate per mangiare da soli.
Questa è la situazione in cui si trova a dover operare Basaglia nel 1962 quando arriva a Gorizia per dirigere l'ospedale psichiatrico della città insieme alla moglie e ai suoi collaboratori dell'Università di Padova, con cui cerca di dare luogo alla prima esperienza anti-istituzionale nell'ambito della cura dei malati di mente, attuando il modello della comunità terapeutica. Convinto che siano confinate dietro quattro mura le cose che non si vogliono vedere, decide di aprire i cancelli della struttura ed elimina ogni vincolo fisico imposto dal codice medico di quegli anni, le camicie di forza, le terapie - frequenti - a base di violenza ed elettroshock.
E poi - qui è dove volevo arrivare - decide di restituire ai pazienti tutte le cose che avevano con loro quando erano entrati nell'ospedale e che dal quel giorno gli erano state confiscate. C'è una scena nello sceneggiato in cui, per convincere i medici che da anni lavorano nella struttura di Gorizia, reticenti alle sue innovazioni, chiede loro cosa tengono sul comodino. Uno risponde con un elenco elementare 'libri, una radio, foto della moglie, la sveglia' e Basaglia (il molto bravo Fabrizio Gifuni) gli risponde così:
"Bene, c'è tutto: lavoro, amore, passioni. L'identità delle persone fa delle cose semplici.
Noi avremmo bisogno di tanti comodini.
Ricominciamo col restituire ai pazienti gli oggetti e i vestiti che gli erano stati tolti.
Vi sembrerà poco: ma i cambiamenti a volte nascono dalle piccole cose".

Così ogni malato si ritrova a indossare i suoi abiti, a tenere in mano fotografie del fidanzato perduto in guerra, ad avere una vecchia bambola sul letto. E la responsabilità che il possedere qualcosa ci dà, gli fa riscoprire la sua umanità.
Se ci togliessero tutto quello che abbiamo, cosa rimarrebbe di noi?
Le nostre cose, parlano di noi perchè noi le abbiamo scelte. E, come dice il Professor Silente alla fine del secondo Harry Potter, sono le nostre decisioni, non le nostre capacità, a renderci ciò che siamo. I nostri oggetti ci ricordano da dove veniamo, le persone a cui vogliamo bene e quelle che di bene magari non ce ne vogliono più.


domenica 28 febbraio 2010

mezzora

Solo una breve nota su ieri sera.
Non c'è cosa più bella di chiacchierarci insieme appoggiati a un frigorifero con in mano un bicchiere di rosso.

mercoledì 24 febbraio 2010

Bohème

Ieri sera noi soliti Erasmus abbiamo festeggiato il compleanno di Riikka nella sua stanzetta al decimo piano delle residenze per studenti di Grunerløkka. Per non andar là man scorlando, come direbbe mia mamma, (per chi non sapesse il dialetto veneto, significa a mani vuote) dopo la lezione su come si costruiscono i tetti in terra norvegese dalla notte dei tempi, sono andata in centro a comprare una bottiglia di vino. Bisogna sapere che qui i supermercati possono vendere bevande alcoliche solo sotto i 4,7 gradi, ovvero birra e sidro, e che per acquistare vino o amari ci sono negozi specializzati, detti Vinmonopolet, che hanno la licenza di permettere alla gente di lasciarsi prendere dal calore dell'alcool.
Ho rischiato una sincope, per usare un termine amatissimo dal mio compare, appena ho visto le etichette dei prezzi: la bottiglia più economica costava 73,90 NOK, suppergiù 9,00 euro. E ovviamente l'ho acquistata, non potendomi permettere nulla di più raffinato, e devo dire che alla fine non era poi così male. Trattasi di un vino rosso prodotto nel Salento dal nome che tutto ti fa pensare tranne che al Salento, ovvero Bohème.


Arrivata alla festa, ho consegnato la bottiglia alla festeggiata augurandole Buon Compleanno e sono andata a sedermi sul suo futon insieme a Sara (la ragazza di Lisbona, che sembra una Winona Ryder in miniatura lievemente strabica). Già accomodati sulle poltrone c'erano Claire e Alex (i due irlandesi, che solo in classe ho modo di vedere sobri) ognuno con in mano la sua bottiglia di vino. Ed è stato lì che è arrivata l'illuminazione ed ho capito come funzionano le feste qui. Di solito, in serate come questa, ognuno si compra qualcosa da bere e se lo scola da solo pur stando in mezzo agli altri.
In sintesi, non si condivide nulla. A meno che tu non lo renda esplicito.
Quindi ho passato mezza serata a guardare la mia cara bottiglia dimenticata sul ripiano dalla cucina, pensando a quanto sarei stata ritenuta maleducata a chiedere a Riikka, a cui l'avevo regalata (secondo la concezione che c'è qui di "Ti invito alla mia festa, portaTI da bere") se potevamo aprirla. Qualche ora dopo, quando è arrivato Chris con la torta al cioccolato, sono andata in cucina, ho aperto la bottiglia e ho versato da bere per me, lui e Florian, in modo da garantirmi almeno un assaggio di Bohème salentina.
Non si smette mai d'imparare.
Odio dare consigli o lezioni, ma in questo caso credo possa essere utile, perciò:
LEZIONE #1: se venite invitati a una festa in terra scandinava e vi dicono Portate da bere, comprate quello che più vi piace perchè ve lo berrete da soli, e, mi raccomando, non consegnate nulla ai padroni di casa!
Considerazione finale: però, che amarezza.... non c'è nulla di più bello di condividere quello con si ha con i propri amici... In questo caso, Italia 1 - Norvegia 0!

sabato 20 febbraio 2010

If you always do what interests you, at least one person is pleased.*

Stasera ho ricominciato a cucinare. Non avevo voglia di uscire con gli altri, così mi sono chiusa in cucina e ho deciso di preparare i miei primi brownies in terra nordica, da portare all'univesità lunedì mattina. Con la classe ci ritroviamo alle ottoemmezzo a guardare un film giapponese, e trovo carino portare qualcosa di dolce da mangiare insieme (mentre insieme ci appisoliamo a forza di leggere i sottotitoli in inglese).
Al posto di seguire la ricetta dettata da mia mamma al telefono (e copiata da uno dei numerosi libri della guru culinaria losangelina Ruth Reichl), mi sono messa alla ricerca di una nuova ricetta da sperimentare in internet. Su un sito di cucina americano ho trovato la ricetta originale della famiglia Hepburn, che Katharine diede nell'agosto del 1975 alla giornalista Liz Smith durante un'intervista per il Ladies Home Journal.
Nonostante io non riesca ad immaginarmi Katharine rilasciare interviste a un giornale tipo Taglia&Cuci, sembra anche che in suddetta intervista abbia affermato di mangiare cioccolato tutti i giorni, concludendo con la frase: "What you see before you, my friend, is the result of a lifetime of chocolate."
La semplicità dell'esecuzione della ricetta rasenta l'imbarazzo, ma d'altro canto è facile immaginarsi la Hepburn in completo pantalone con le maniche arrotolate della camicia che, mentre mescola con forza l'impasto, dice di non avere tempo per cose più complicate.


Katharine Hepburn's Brownies
60gr cioccolato fondente 120gr burro 2 uova 1 tazza di zucchero
1 cucchiaino di essenza di vaniglia 35gr farina 1/2 cucchiaino sale
1 tazza di noci spezzettate (facoltativo)

Sciogli a bagno maria il cioccolato con il burro. Aggiungi poi zucchero, vaniglia e uova e mescola a fondo. Unisci farina e sale (e le noci). Distribuisci l'impasto su una tortiera imburrata e infarinata e cuoci a 165° per 40 minuti.
*Ovviamente il titolo è una citazione di KH. In questo caso, at least, anche i miei coinquilini sembrano contenti che io abbia passato la serata a fare qualcosa di cui avevo voglia!

**Questa foto, sebbene bruttina, mi è costata almeno venti minuti ed è stata preceduta da almeno altre 30 foto dello stesso soggetto e, a dirla tutta, pressochè uguali. Si richiede, a questo punto, di apprezzare gli sforzi della sottoscritta :)

venerdì 19 febbraio 2010

invisibile - paul auster

Ho finito da qualche giorno la lettura dell'ultimo libro di Paul Auster, di cui l'anno scorso avevo letto Follie di Brooklyn, che mi aveva divertito non poco.
Invisibile
è un libro che si fa leggere nell'arco di qualche giornata: la vicenda appassiona e la seconda parte in particolare (come ben dice Gabriele Romagnoli nel suo blog che ho copiato qui sotto) è veramente bella: capitolo in cui Auster riesce a narrare con leggerezza il rapporto a dir poco complicato tra il protagonista e la sorella. Il testo si compone infatti di quattro parti, dall'Autunno all'Inverno, e la storia si arrichisce fluidamente man mano che le relazioni che i personaggi intrecciano tra loro cambiano al variare delle stagioni.







L'illuminazione riguardo il titolo arriva a pag.76 dell'edizione italiana, quando Adam, assunto alla Butler Library del campus della Columbia con l'unica mansione di rimettere i libri tornati dal prestito al loro scaffale, sbaglia la collocazione di un testo di storia medievale tedesca, riponendolo a pochi centimetri dal suo posto usuale. Viene immediatamente ripreso dal suo superiore, il triste signor Goines, che lo ammonisce così: "Se un libro viene messo al posto sbagliato può andare perduto per vent'anni o più, forse per sempre".
Ad Adam lì per lì sembra una cosa da poco, ma poi capisce il principio affermato dal vecchio:
"Metti qualcosa nel posto sbagliato, e anche se è ancora lì - molto probabilmente proprio sotto il tuo naso - può sparire per tutto il tempo rimanente".
Ed è esattamente così che accade in tutto il romanzo. La verità è lì - vicina, tangibile - ma solo nell'ultima pagina si renderà visibile agli occhi dei protagonisti (e lettori).
Ultima cosa: Auster riesce con le brevi descrizioni di Margot e Gwen e, non ultima, Cécile a inquadrare un intero universo femminile con una delicatezza che pochi altri sanno avere.
Basta, non vi voglio dire altro. I libri vanno semplicemente letti.



'Sono anni che continuo a leggere Paul Auster anche se combina pasticci, perché ha comunque una voce. Poi prendete l'ultimo, "Invisibile", Einaudi, scombinato, con ancora una volta una storia dentro la storia, eppure la seconda parte di quattro, quella chiamata Estate, quella è stupenda. E basta a farlo leggere.'


dal blog di Gabriele Romagnoli, Navi in Bottiglia, 31 dicembre 2009

giovedì 18 febbraio 2010

Si può essere qualcuno semplicemente pensando

Visto che il comune di Milano deve ancora decidersi a celebrarla, a tre mesi dalla morte di Alda Merini, un artista di strada ha deciso di renderle così omaggio: con un enorme ritratto su un cancello di Ripa di Porta Ticinese, a pochi passi dalla sua storica abitazione.


tu che continui a dirmi
che verrai domani
e non capisci che per me
il domani e' gia' passato



domenica 14 febbraio 2010

valentine's day


A quanto pare gli oslesi sono grandi amanti di questa festa di cui io, pur portandone il nome, non sento proprio l'esigenza. I fiorai - Blomster, se qualcuno fosse interessato a imparare la lingua - sono oggi magicamente aperti nonostante sia domenica, e le loro vetrine pullulano di cuoricini rossi appesi su ogni stelo o pianta esposta. Fuori dalle caffetterie, insegne di occasioni speciali di biscotti alla cannella o al cioccolato, ovviamente a forma di cuore, da offrire alla propria valentina.

Persino fuori dal cinema Saga, uno dei più antichi nel centro storico di Oslo, costruito negli anni di punta del funzionalismo norvegese da Blakstad e Munthe-Kaas (che qualche anno prima avevano anche progettato la famosa Kunstnernes, Casa degli Artisti -- suvvia, un pò di storia dell'architettura fa sempre bene!), beh anche fuori dal cinema, c'è un invito a portare la dolce metà a vedere un film nel giorno degli innamorati.

Ad ogni modo amici, buon San Valentino a tutti!

giovedì 11 febbraio 2010

coincidenza e destino

Piccola nota a piè di giornata.
Ogni volta che esce un pezzo nuovo di Jovanotti io lo ascolto all'estero.
Quando uscì Fango ero a Bristol e lo ascoltai per la prima volta sulla sua pagina Myspace seduta sul divano in cucina dell'appartamento della Stefi.
Un mese fa, Baciami ancora l'ho scaricato da iTunes dalla mia prima stanzetta qui ad Oslo, in mezzo ai boschi e prati e tetti innevati dello studentato di Kringsja.
E mi accompagna tutte le sere a casa, quando sull'autobus 54direzione Kjelsja me ne torno allo studentato di Bjolsen.

un posto nel mondo

Presentazione fatta. Due plastici, un pdf con una ventina di slide e tanti concetti frutto di speculazione astratta da spiegare a una classe in inglese. Dopo un'ora di discussione con il Prof. Per Olaf Fjeld e il suo Assistente Rolf Gest-something, la mia testa è così confusa dalle loro elocubrazioni che non mi rendo neanche conto se elocubrazioni è la parola che volevo e se si scrive davvero così.

Ad ogni modo, è andata. C'è ancora tanto da fare e da imparare e da leggere e studiare, ma sono piena di voglia di lavorare e approfondire la tematica del corso (il rapporto tra Natura e Cultura, mediato dall'Architettura che si fa Infrastruttura, ma ne parlerò prima o dopo), quindi tanto meglio.

Ieri sera, mentre ero in autobus nel viaggio verso casa, pensavo a dove si trovi in questi giorni. Non viene a scuola da venerdì. Non so se sia scappato in India, se sia a casa della sua famiglia, se sia andato a Berlino per il suo compleanno. Non so che posto del mondo stia occupando, Ora. Non so se sia fermo nella sua stanza alla scrivania a preparare il plastico per la sua presentazione. Non so se le sue gambe lo stanno muovendo per chissà quali strade o percorsi. Non so se sia a letto ammalato. Non so se sia con qualcuno o se passi il suo tempo da solo. Non so che libro ci sia appoggiato a faccia in giù sul suo comodino. Non so se ha un comodino vicino al letto. Non so se sta leggendo qualcosa in questo periodo. Non so se gli piace leggere. Non so cos'ha mangiato ieri. Nè stamattina a colazione. Non so se ha l'abitudine di fare colazione. Non so qual è il caffè che preferisce bere. Non so se preferisce il tè al caffè.

Ma, nonostante questa mia ignoranza, mi piace.

'In spagnolo, añoranza viene dal verbo añorar (provare nostalgia), che viene dal catalano enyorar, a sua volta derivato dal latino ignorare. Alla luce di questa etimologia, la nostalgia appare come la sofferenza dell'ignoranza.'
Milan Kundera _ L'Ignoranza
2001

Ieri abbiamo seguito una conferenza di un docente della Penn University di Philadelphia, amico di Per Olaf. Parlava della differenza che intercorre tra essenza e esistenza, inizialmente facendoci il semplice esempio di un cavallo. Ognuno di noi può disegnare un cavallo, può intagliarne la figura nel legno, modellarlo con la plastilina lavorandoci a lungo, e comunque non avere la minima idea di cosa l'essenza di un cavallo sia.
Così per l'architettura. Puoi studiare tutte le piante di tutte le chiese del passato, ridisegnare centinaia di edifici sacri antichi, ma il tuo progetto non può considerarsi davvero un'architettura se non possiede in sè l'essenza di un edificio di culto. Per Olaf la chiama Energia, quel qualcosa da cui non si può scappare.

Qualcosa che c'è e basta. Come il carattere con cui sei nato, quello che sei. Da lì non si scappa.
Seneca in una lettera all'amico Lucilio -il quale gira il mondo nella speranza che il mondo lo cambi- scrive: 'Animum debes mutare non caelum'. Ci ritornerò prima o dopo su questa faccenda, che sento particolarmente.
Divagazioni strettamente necessarie giusto per affermare che mi piace, pur non sapendo perchè e non conoscendo quasi nulla di lui. Ma è così. Succede.

martedì 9 febbraio 2010

You can't always get what you want 1#

Cose che vorrei fare e che invece non posso perchè devo plasticare:
  • andare al cinema a vedere una sòla pazzesca per avere una scusa per piangere al buio
  • andare al cinema per vedere una cagata pazzesca e sentire i norvegesi ridere sguaiatamente
  • andare a cena fuori (ma se non ci vado è anche per una questione di schei)
  • guardare tutta una serie di Sex and the City
  • invitare qualcuno (...) a bere una birra
  • fare la lavatrice e restare a guardare i miei vestiti girare vorticosamente nel cestello con le mie lenzuola
  • comperarmi vestiti nuovi
  • e ovviamente un paio di scarpe
  • leggere buttata sul letto un libro di Anna Gavalda per la seconda volta
  • telefonare a qualche amico per fare due chiacchiere
  • girovagare nella grande rete alla ricerca dei trailers dei film in uscita
  • imparare il norvegese per poter dire "Usciamo a bere una birra?"
  • darmi lo smalto
  • dormire.

lunedì 8 febbraio 2010

i don't like mondays

Oggi non trovo pace.
Non riesco a stare tranquilla, forse perchè sono caduta per la seconda volta per strada e ho preso una gran paura, dato che mi sono resa conto che qualsiasi cosa mi accada qui, devo affrontarla da sola. O forse sono agitata perchè non mi arrivano idee per il progetto e mercoledì c'è la prima revisione e io devo ancora provare a fare un plastico.

Fatto sta, che ho le ansie. Odio dover parlare di fronte alla classe e mercoledì dovrò farlo. Ho paura di fare brutte figure, di dire cazzate, che le mie idee vengano reputate scemenze, ho paura di non aver capito bene il tema della consegna....


Comunque ho passato un bel fine settimana. Sabato sera siamo andati al Mono a Torshov a ballare fino alla chiusura del locale. Peccato che per iniziare a muovermi un pochino sulla pista io debba essere ben avanti con le birre, che qui valgono come oro. Ieri sera invece abbiamo cenato a casa di Chris noi soliti Erasmus ed è stato bello cucinare tutti insieme. Mentre tragliuzzavo le carote in piccoli pezzi ripensavo al mio appartamento veneziano e a tutti i polletti al curry che lì sono stati consumati, sia ai tempi di Zatti e Quirin, che ai tempi di Mattia e Nicola.

Adesso mentre lavoro mi ascolto il nuovo amico Pete Doherty, sperando sia in grado di infondermi un pizzico d'ottimismo. O almeno, di menefreghismo e di distanza rispetto al mio lavoro.
Meno sei coinvolta in una faccenda, meglio la affronti.


Da questa settimana, ogni lunedi con la classe ci troviamo alle 8.30 per guardare un film scelto da un mio compagno norvegese che credo si chiami Jon. La rassegna cinematografica si chiama Blue Monday. Stamattina abbiamo visto un film giapponese del 2007 di Naoko Ogigami, Megane, ovvero Glasses, da tradurre come Occhiali, Lenti. Qualcosa che aiuta a vedere, o che comunque filtra la visione delle cose attorno.
Una donna sui quaranta va a trascorrere le vacanze di primavera in una pensione sulla costa che non vede clienti da un paio d'anni, gestita da un uomo che vive con un cane nell'attesa "che il tempo passi". Lì creerà con lui e altri personaggi una pacifica comunità rendendosi conto che dalla solitudine si impara soltanto quanto sia fondamentale la condivisione nella vita di tutti i giorni.
E' introdotto il neologismico concetto di Twilighting, che non è la passione per Pattinson e i vampiri, bensì lo stato mentale che ti porta a ricordare il passato, a pensare a qualcuno, a perderti nei tuoi pensieri, o a non averne nessuno per la testa.


"I'm going down to the beach." "To twilight?" "Maybe..."